# Introduction ntra in scena nelle vesti di un forestiero "durante l'ultima nevicata dell'anno, tra un turbinio di neve e folate di vento gelido" 1 , il misterioso nuovo uomo invisibile di H.G. Wells, imbacuccato dalla testa ai piedi per nascondere la propria invisibilità. È l'opposto di quella prima di lui, ricercata per nascondersi e fornita da un qualche strumento magico, come l'elmo Tarnheim nell'Oro del Reno di Wagner. Segna il passaggio dalla magia alla scienza, che è quanto si incaricherà di raccontare il romanzo. L'uomo invisibile esce nel 1897, un momento decisivo secondo Jean Clair 2 Sono poi soprattutto i surrealisti a rimettere in gioco questo mondo, rispolverando sedute medianiche, ipnosi, telepatia, in cui il "funzionamento reale del pensiero", secondo la famosa formula di André Breton , in cui si gioca in maniera evidente questo passaggio. Le invenzioni, il progresso della tecnologia, vi hanno un ruolo determinante che si ripercuote anche sull'invisibile. Nel 1895 Wilhelm Conrad Röntgen scopre i raggi x, i quali, invisibili all'occhio umano, mostrano in trasparenza l'interno del corpo; nello stesso anno Guglielmo Marconi scopre la radiotelefonia senza fili, altre onde, irradiazioni che si propagano invisibili. (Di quello stesso anno è l'invenzione del cinematografo, il quale, sia detto tra parentesi, per rendere visibile il movimento nasconde all'occhio la realtà dei fotogrammi.) Su queste scoperte fanno leva una quantità di movimenti che vanno dallo spiritualismo allo spiritismo, dalla Naturphilosophie, che già postulava l'esistenza di irradiazioni invisibili che mettevano in comunicazione universi misteriosi e ultraterreni, agli esperimenti famosi del dottor Hippolyte Baraduc, che cerca di fissare su lastra fotografica l'aura emanante dalle emozioni o dagli incubi. Come ricorda Clair, l'espressione "iconografia dell'invisibile" si diffonde nella letteratura sia scientifica che parascientifica e occultista a cavallo dei due secoli. Molti sono anche gli artisti che se ne interessano o ne vengono influenzati per vie e in percorsi del tutto diversi, da Edvard Munch a Marcel Duchamp, passando per Franti?ek Kupka, Wassily Kandinsky, Kazimir Malevi ?, Umberto Boccioni, Piet Mondrian e molti altri. # E , slitta verso ogni sorta di premonizioni, anticipazioni, sogni, profezie, manifestazioni di un linguaggio che non procede per linearità e controllo, ma per analogie, condensazioni metaforiche, slittamenti metonimici e ogni sorta di cortocircuito sorprendente. L'inconscio è il regno del visivo, ma che rimanda incessantemente all'invisibile, al surreale come dimensione altra. E così come l'inconscio è irrimediabilmente intrecciato al conscio, così l'invisibile è fin dentro il reale. La fotografia in particolare è allora usata dai surrealisti in questo senso, per vedere altro -l'iconografia dell'occhio, da quello tagliato in Un chien andalou (1929) a quelli moltiplicati nel ritratto della contessa Casati di Man Ray (1928), occupa un capitolo intero del Surrealismo -e indicare ciò che non vedo. Mentre Paul Klee ha lanciato nel suo La confessione creatrice (1920) la famosa formula "L'arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile" 4 In un certo senso L'oggetto invisibile di Alberto Giacometti è il suo opposto: un vuoto, un'assenza, che sono anche un "creux", un negativo, uno spazio segnato dalla disposizione delle mani del personaggio che sembrano afferrare o attendere qualcosa che non c'è; è molto vicino al "niente" di cui, come vedremo, parla Wells nel suo romanzo, che fa paura, perché si sa che c'è qualcosa, ma non lo si vede: in Giacometti non fa paura, ma certamente turba. Tutto ruota intorno a questa assenza. È l'arte stessa, la sua metafora: "invisibile ma presente", come dice Breton , aprendo un vaso di Pandora su che cosa possa significare 'rendere visibile' e che cosa è 'visibile', in ambito surrealista ci interessa segnalare almeno due casi particolari che danno il segno del cambiamento in atto. Il primo è sì di ambito fotografico, ma non della fotografia realizzata dai fotografi artisti bensì di alcune fotografie pubblicate sulla rivista ufficiale del gruppo, "La révolution surréaliste", foto anonime, trovate e ricontestualizzate in modo da significare altro. Due in particolare danno dell'invisibile una versione curiosa, ovvero quella di fuori campo: sulla copertina del numero 7 del giugno 1926 un gruppo di persone guardano tutte nella stessa direzione qualche cosa che non è nell'immagine, oppure, in un'altra foto sulla copertina del numero 11 del marzo 1928 (Fig. 1), un altro gruppetto guarda dentro un tombino aperto nel manto stradale. Cosa guardano? Cosa vedono? Per i surrealisti il fuori, il sotto, il dentro dell'inconscio; ma anche, per noi se non per loro, qualcosa di inaccessibile, qualcosa di misterioso, verrebbe da dire: nonostante loro, ignari. L'opposto è il caso, diretto nel titolo, de L'uomo invisibile (1929) di Salvador Dalì (Fig. 2). È una delle sue 'figure doppie', qui doppiamente visibili e invisibili, ovvero composte da pezzi che danno forma a un'ulteriore figura se guardati non ciascuno separatamente ma nel loro insieme. Qui appare un uomo composto dai pezzi più disparati: nuvole per capelli, colonne, un nudo, un laghetto e poi altri elementi paesaggistici per il corpo. È l'uomo-inconscio: l'invisibile, come l'inconscio, non è l'opposto o l'assenza del visibile, ma è formato dal visibile stesso, da sue parti disposte in modo particolare, non logico, non abituale, eppure rispondente a un'altra logica, a una logica 'altra'; viceversa il visibile è solo un insieme di dettagli dai quali occorre individuare l'altra figura. 5 , ma in un modo opposto a quello formato da altro di Dalì, perché del tutto non visibile, non fantasma, pura trasparenza, "cristallino" dice ancora Breton. Alla fine degli anni '20 il Surrealismo entra in due interessanti collisioni: una in realtà in conflitto ed è il gruppo di Georges Bataille raccolto intorno alla rivista "Documents", che oppone un ferreo, 'basso' materialismo a quello che ritengono l'idealismo di Breton; la seconda è una confluenza momentanea ed è il gruppo raccolto attorno a un'altra rivista, "Le Grand Jeu", che prenderà poi un'altra direzione, di segno opposto, ovvero spiritualista. L'invisibile si può trovare eventualmente in quest'ultimo, con la sua poetica degli occhi chiusi -"Un nulla lucente un vuoto splendente / cieco-veggente delle tenebre bianche", scrive Gilbert-Lecomte 6 Gli anni '30, anni di regimi repressivi, il dopoguerra e i '50, anni di ricostruzione e dell'imporsi della massa e del consumo, fino a metà dei '60 non vedono esempi eccellenti di iconografia dell'invisibile. Qualcosa si potrebbe forse cercare nell'influenza dello junghismo su alcuni artisti, come il Jackson Pollock della prima metà degli anni '40, quando titola le sue -o forse nell'ambito della magia nella ripresa esoterica di Breton negli anni '40? Forse sì, ma senza essere preso in diretta considerazione. Resta sempre qualcosa di invisibile, qualche allusione o effetto infravisivo nei surrealisti della seconda generazione. Si pensi ai flussi simil-fantasmatici dei dipinti di Roberto Matta degli anni '50. René Magritte affronta il tema in diverse versioni curiosamente molto tardi, significativamente alla fine della sua vita, forse come meditazione sulla morte, ironica, come sempre, ma anche mesta sotto un certo punto di vista. In una versione, intitolata Il paesaggio di Bauci, del 1966 (Fig. 3), raffigura un personaggio a mezzo busto il cui volto è trasparente salvo i due occhi, il naso e la bocca che galleggiano sospesi tra cappello e colletto della camicia. Il rimando a Bauci, la compagna di Filemone nel mito raccontato dalle Metamorfosi di Ovidio può essere in effetti un rimando alla fedeltà (all'arte/nell'arte?) fino alla morte. Un'altra versione, intitolata Il pellegrino, dello stesso anno, vede il famoso personaggio con la bombetta senza la faccia, che è riportata spostata accanto, anche qui sospesa sullo sfondo. Anche il tema del pellegrino potrebbe essere una definizione della vita diretta verso la sua meta finale. Sarà, quella di Magritte, una versione ironica, ma evidentemente il legame tra invisibile e morte riaffiora costantemente. In fondo non è l'anima, o lo spirito, da sempre la parte invisibile dell'essere umano, a cui segue la domanda su una possibile altra vita, sul dopo, sull'oltre? Fedeltà all'una e pellegrinaggio verso l'altra collegano i due paesaggi-luoghi. opere all'insegna di donne lunari, di guardiani di segreti, ma il rimando non è diretto; così come nel "sublime" in Barnett Newman o, chissà?, nel colore di Mark Rothko. O, al contrario, nel monocromo bianco di Robert Rauschenberg o nel Silenzio di John Cage 7 . Prima di saltare a quando l'invisibile diventa di nuovo, ma ora in tutt'altra forma, argomento diretto, torniamo un momento al romanzo di Wells. Il suo uomo invisibile è in effetti molto particolare. Trasparente sì, ma quando si fa scoprire per la prima volta la reazione degli astanti è incentrata su un'altra osservazione: "Erano preparati a vedere un uomo, pieno di cicatrici, trasfigurato, orripilante, ma... non niente!" 8 Niente, questo spaventa più di qualsiasi scempio o deformazione. Poi l'uomo invisibile fugge e se ne va in giro "nudo" per non essere appunto visibile e quando interagisce con qualcuno viene allora descritto dall'autore, chiamato addirittura, come "la voce", l'unico elemento percepibile, una voce disincarnata, senza fonte percepibile, puro suono, pura parola. Ma non siamo nella dimensione dell'astrazione, questo niente, questa trasparenza, questa voce sono pur qualcosa. È l'uomo invisibile stesso a ribadirlo: per quanto invisibile, resta uomo, ha gli stessi bisogni di tutti gli altri esseri umani, fa presente, è 'reale': "Reale come?", chiede il suo interlocutore. «Reale», risponde. E precisa: "In realtà, tutta la faccenda non è meravigliosa nemmeno la metà di quanto crede" 9 . Ebbene, veniamo dunque al ritorno dell'invisibile. Siamo in ambito di quella che si sta affermando come Arte concettuale. La 'smaterializzazione' è uno degli argomenti messi in avanti per giustificarla, dalla critica Lucy Lippard 10 Prendiamo Robert Barry. La sua versione più famosa è quella della serie dei "gas inerti", del 1969 (Fig. 4), per definizione impossibili da cogliere non solo con la vista ma con tutti i sensi, che, ricordiamolo, furono semplicemente liberati nell'aria, "restituiti" cioè al loro ambito naturale come si ricorderà, ma in ogni caso il concetto è già qualcosa che sta alla sua traduzione materiale come l'invisibile sta al visibile, l'anima al corpo, secondo una certa dialettica consolidata. Questa premessa per dire in realtà che l'entrata in scena dell'invisibile forse è invece motivata dalla volontà di rottura di una dialettica che rischia da un lato di essere semplificatrice nella sua riduzione a due termini contrapposti, dall'altro che un terzo termine lo si vuole indicare come altro, piuttosto che come presunta sintesi. L'invisibile diventa allora un'altra dimensione, un altro modo d'essere, piuttosto che il non-visibile. invisibili -portando al limite quello che all'epoca sta già accadendo con altre forme d'arte, dalla Land alla Performance per motivi diversi -occorre certificare che l'evento avvenga, che il gas sia liberato nell'aria, che effettivamente onde radio o ultrasuoni siano in atto, ed ecco che compare la fotografia, paradossalmente, perché chiamata a registrare qualcosa che non si vede e in realtà destinata a raffigurare qualcosa d'altro, l'azione, il luogo, la circostanza. Ma dove c'è un paradosso c'è uno spostamento, qui sta la chiave 'non dialettica'. Dice l'artista: "Benché questo" -il lavorare con materiali che definisce "non percepibili in maniera tradizionale" -"ponga dei problemi, apre anche delle possibilità infinite. È in questo momento che ho rigettato l'idea che l'arte debba obbligatoriamente essere qualcosa che va guardato". E ancora, con rimando diretto a un'altra percezione: "Non rimetto soltanto in causa i limiti della nostra percezione, interrogo la vera natura della percezione stessa. Non vi è dubbio che queste forme esistono, che sono controllate e possiedono caratteristiche proprie. Sono fatte di forme diverse di energia che esistono al di fuori dei limiti ristretti e arbitrari dei nostri sensi" 12 . Percepire non ha a che fare necessariamente con il visibile -c'è qui una critica radicale all''otticità' come carattere specifico dell'arte secondo Clement Greenberg, ma si va ben oltre -così come materiale non significa necessariamente materia palpabile. Le onde, l'energia, e il pensiero -vedremo ancora fra un attimo -non sono materiali plastici? L''arte' stessa, come ciò che fa di un oggetto un'opera d'arte e che da esso emana e si trasmette, non è una sorta di energia di questo ordine? Non sorprenderà che nello stesso anno dei gas inerti, il 1969, Barry sfiderà ulteriormente sia la materia che il linguaggio che il pensiero con Telepathic Piece: "Durante l'esposizione cercherò di comunicare telepaticamente un'opera d'arte che consiste in una serie di pensieri che non possono essere trasmessi per mezzo né del linguaggio né dell'immagine" 13 . Qui è dichiarata esplicitamente la ricerca di un invisibile come al di là del linguaggio e dell'immagine stessi, un non diventare immagine, un restare altro 14 . In questa chiave si può prendere anche l'altra versione più radicale del concettualismo, quella di Ian Wilson che dal 1968 non produce più oggetti di alcun tipo ma pretende che i suoi discorsi o conversazioni in pubblico siano le sue opere: "Presento la comunicazione orale in quanto oggetto, tutta l'arte è informazione e comunicazione. Io ho scelto di parlare invece che scolpire" 15 . Parlare, cioè, è 'scolpire' vocalmente le parole e modellare le idee, è dare dimensione fattiva al pensiero. L'arte è 'cosa mentale', secondo il refrain leonardesco mille volte ripetuto, ma dove qui si sottolinea il sostantivo "cosa", una cosa tanto concreta quanto invisibile. # Volume XIX Issue VI Version I # ( H ) Un'altra versione è quella di Douglas Huebler, prettamente ma sottilmente fotografica. Che cosa può significare infatti fotografare l'invisibile? È che ci sono altri aspetti dell'invisibile e sono due aspetti fotografici, ovvero legati al tempo invece che allo spazio, alle cose: il tempo è invisibile, e in alcune sue occasioni lo è doppiamente, una è il caso, un'altra sono particolari istanti al limite. Duration Piece #5, del 1969, è descritta come nata 'per caso': passeggiando a Central Park, macchina fotografica a tracolla, l'artista sente improvvisamente cantare un uccello, punta la macchina -reazione automatica, "come si fa solitamente in una situazione del genere" -e scatta, poi ne sente un altro e scatta di nuovo, così per una decina di volte. Che cosa ha fatto dunque? "Questo sistema era quindi basato su qualcosa di molto effimero ma anche di molto reale: il canto di un uccello (che non si vede) e le fotografie di un ambiente naturale. Queste foto del resto sono molto belle ai miei occhi perché sono del tutto arbitrarie" 16 Qualcosa di questa idea dell'invisibile come ciò che coglie uno stato doppio c'è anche in Gino De Dominicis, in Giovanni Anselmo e in Alighiero Boetti. Nel 1967 De Dominicis presenta i cosiddetti "oggetti invisibili", Il cubo, il cilindro, la piramide, consistenti nel tracciato a terra delle loro basi. L'oggetto non c'è, c'è solo la delimitazione dello spazio che occuperebbe. Viene da pensare al duchampiano piano di intersecazione in questo mondo tridimensionale di un corpo quadridimensionale che i nostri occhi non sono attrezzati a percepire interamente . Possiamo dire che la fotografia registra il non visibile? Comunque non si tratta del non visibile in quanto tale, ma del fatto che quelle immagini -e l'immagine in sé per estensione -hanno senso a partire dal non visibile; se gli uccelli fossero visibili non avrebbero quel senso, sarebbero foto di genere, della banalità di quelle che si fanno al parco. L'altra versione è Duration Piece #31 Boston, del 1974 (Fig. 5), che consiste in una fotografia raffigurante una donna nuda che si copre con un asciugamano, scattata -come spiega il testo che costituisce l'altra parte dell'opera -esattamente allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre 1973, per cui, calcolando il tempo di esposizione, metà della donna sta nell'anno 1973 e l'altra metà è già entrata nel nuovo anno. È un'immagine còlta non solo in un 'tra' sospeso nel cambio di data, ma comunque sufficientemente lungo da essere diviso e da appartenere a due date, come una soglia che al tempo stesso separa e unisce, reale e insieme indefinibile, inafferrabile ma in realtà afferrato. le cose dovrebbero essere eterne, immortali, solo così non sarebbero solo delle verifiche di certe possibilità, ma veramente cose" 18 . La figura disegnata sul pavimento delimita allora quella che l'artista chiama una "illusione di presenza di oggetto", ovvero uno spazio che nessun oggetto attraversa o in cui risiede. Ma, poiché lo spazio è appunto "dove un oggetto può muoversi o dove un oggetto risiede, là dove nessun oggetto si muove e dove nessun oggetto risiede non è spazio» e «ciò che non è spazio è oggetto" 19 . Siamo di fronte a un'invisibilità che si basa sulla potenza del ragionamento, sul rigore della 'teoria' -dal greco theoreo, 'vedo' -così radicale da sovvertire le leggi della fisica naturale e del pensiero che su di essa fa affidamento, e dunque da apparire paradossale. Così il contorno e la stasi sono i bordi infrasottili dove gli opposti si rovesciano, il perno su cui ruotano: l'invisibile è il visibile in quanto non altro; l'invisibilità diventa il modo per mostrare la possibilità. Allo stesso modo, come indicano due famose opere seguenti, Tentativo di volo e Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell'acqua, entrambe del 1969, nella dimensione dell'infinito èpossibile che l'uomo spicchi il volo e che il sasso formi quadrati invece di cerchi nell'acqua 20 . D'altro canto, di nuovo, l'arte non è questa dimensione che l'uomo fa 'vedere' dentro il reale? La versione di Anselmo è diversa ma non distante. "L'invisibile", dichiara, "è quel visibile che non si può vedere" 21 D'altro canto si sarà notato anche che la particella "in", se indica negazione-opposizionerovesciamento come prefisso, significa anche dentro, tra, qual è appunto la sua posizione in questa versione. Più che di coincidentia oppositorum allora, forse . È dunque dell'ordine del visibile, non della sua opposizione-negazione: c'è del visibile che non possiamo, non siamo in grado di vedere. Non si tratterà allora di cercare di renderlo visibile, ma di "materializzarlo", dice l'artista, conservando la sua invisibilità. L'ha fatto in due modi. Nel 1971 realizza il primo Invisibile consistente in una diapositiva proiettata nello spazio espositivo che si vede solo se si intercetta il fascio luminoso alla distanza giusta, per esempio con una mano, su cui allora si legge la parola "visibile". A vedersi resta dunque il visibile, ma la sua visione "rivela" che già esso in altro modo non si vedeva, dunque che dell'invisibile esiste, dipende dal modo. Il secondo tipo di Invisibile è del 1973 (Fig. 6) e consiste, in varie versioni, di due parallelepipedi o lastre di dimensioni diverse, uno più grande e l'altro molto più piccolo, distanziati qualche centimetro l'uno dall'altro in modo che nella parte mancante si sia portati a completare con "in" la parola riportata sulla più grande, che naturalmente è ancora "visibile". È dunque l'"in" di "invisibile" a non essere visibile, ma l'assenza lo rivela come parte mancante. sarebbe più pertinente parlare di una dimensione altra che non siamo attrezzati a percepire visivamente ma sì in altro modo. È ciò a cui sembrano alludere le altre opere, alcune delle quali non a caso realizzate allo stesso modo, per proiezione o in due pezzi con assenza di "in": prima di tutto l'in-finito, ma anche la dissolvenza, la tensione... Il reale è solo un "particolare" che tende "verso il blu oltremare", come scandiscono altri titoli di sue opere. Da parte sua Boetti propone un altro tipo di invisibilità, in particolare nell'opera Lampada annuale, del 1966 (Fig. 7). Si tratta appunto di una lampada che si accende, per un breve istante, solo una volta all'anno, in un momento imprecisato, casuale e imprevedibile. L'invisibilità consiste nella bassissima probabilità di poter assistere all'evento, che passa perlopiù inosservato, letteralmente non visto. La domanda allora è: esiste dunque ciò a cui non assistiamo? Basta l'attestazione del titolo? Il problema comunque è posto, quello dell'impossibilità di assistere veramente all'evento, che non mette in forse il suo accadimento ma lo sposta su un altro piano, quello della casualità, invece che della causalità, della tyche, secondo l'indicazione lacaniana, dell'incontro con il reale. Il reale 22 è appunto ciò che si incontra come per caso. Poi Boetti riprende la questione da un altro punto di vista in almeno due altre opere: nello stesso anno tende un telo mimetico militare su telaio (Mimetico) e nel 1969 realizza Niente da vedere niente da nascondere, un grande vetro -il rimando a Duchamp diventa evidente -su telaio di metallo. Né enfasi del mostrare, dello svelare, della visionarietà, né però copertura e nascondimento; trasparenza come stato di equilibrio, che lascia vedere e agire la griglia geometrica del telaio che dà ordine alla moltitudine caotica e casuale dei riflessi e delle presenze che vi traspaiono o vi si riflettono. Del mimetismo scrive Giovan Battista Salerno che è "precisamente una forma dell'invisibilità. Esso non rappresenta la natura, ma ne riproduce le tecniche di occultamento. [...] Ancora una volta la bellezza sta nella riproduzione, non nell'oggetto riprodotto, anche quando, come in questo caso, la riproduzione si avvale di un oggetto preso tale e quale direttamente dal mondo. In questo senso il Mimetico si può sempre considerare un readymade, ma [...] il senso del Mimetico, la sua prassi, sta piuttosto nella delimitazione, nell'inquadratura dell'impensabile" 23 Invisibilità e mimetismo sono evidentemente legati tra di loro, ma appunto nel senso che se il mimetismo tende a rendere l'oggetto invisibile, l'invisibilità allora può essere letta in termini mimetici, cioè non come scomparsa ma come presenza altra, strategia di integrazione in un contesto, non necessariamente ostile ma di cui si mette in causa, si decostruisce la pretesa unica possibilità visiva, si offre una visione differente. È quanto avviene anche nelle varie forme di quella che è stata chiamata da Birgit Pelzer "architettura invisibile" . Mimetismo, prosegue Salerno, è dialettica di natura, macchia, opacità, ottusità -La natura, una faccenda ottusa sarà il titolo di altre opere di Boetti -e ordine, forma, trasparenza, acutezza. 24 , di intervento indecidibile nello spazio. Così nel 1970 Michael Asher modifica gli spazi della galleria del Pomona College di Claremont, in California (Fig. 8), inserendo delle pareti nuove che trasformano le due stanze in triangoli isosceli e introducendo un controsoffitto digradante fino all'altezza dell'entrata, dalla quale è stata rimossa la porta, lasciando un'apertura quadrata che dà direttamente sulla strada. Certo, la stranezza della forma inconsueta delle stanze e dell'apertura sulla strada insospettiscono che qui stia l'intervento dell'artista, ma nient'altro distingue quello spazio da un altro spazio 'vuoto' 25 . Nel 1973 alla galleria Toselli di Milano Asher si limita a scartavetrare pareti e soffitto della galleria, lasciando l'intonaco nudo. L'anno dopo alla Claire Copley Gallery di Los Angeles fa abbattere la parete divisoria tra lo spazio espositivo e l'ufficio della galleria. Lavori di ristrutturazione o opere d'arte? Niente di visivo permette di decidere e l'opera è inseparabile dal luogo in cui è realizzata, non solo site specific, ma è il luogo stesso, la sua percezione modificata. Cosa ci mostra in questo modo Asher? Lo spazio, la luce, il contenitore espositivo, i meccanismi dell'esposizione? Ciò che è tolto? Ciò che è solitamente occultato, rimosso? Posto a metà strada tra la minimal art e il filone di critica istituzionale dell'arte concettuale, in queste sue operazioni Asher lavora al limite della percezione, quasi più sull'assenza che sulla presenza: l'asportazione della porta ci introduce in uno spazio che non è più interno in senso stretto, ma prolungamento coperto dell'esterno, letteralmente aperto; la mancanza del primo strato di parete rivela "il ruolo che ricopre la parete bianca nella percezione delle opere d'arte a cui fa da supporto" 26 , quello che lì a poco O'Doherty chiamerà "white cube" 27 Alla Villa Panza di Biumo, a Varese, nel 1973-74 Robert Irwin (Fig. 9) e James Turrell aprono delle 'finestre', ovvero dei puri varchi senza cornice né altro dispositivo, nelle pareti e nei soffitti. Artisti della luce, come vengono definiti, ci mostrano diversamente ciò che non guardiamo mai in questo modo: la luce dentro lo spazio, il cielo come superficie luminosa. La materia impalpabile dell'opera è la luce, infrasottile energia ready-made. Come si rende visibile la luce? Cosa vediamo quando diciamo di vedere la luce? Essa è una sostanza-concetto limite. Come la finestra-apertura: né dentro né fuori, in-between, è la superficie soglia -ed è la soglia della storia dell'arte stessa, secondo la ; l'eliminazione della parete tra spazio espositivo e uffici mostra il funzionamento interno della galleria e insieme l'"astrattezza estetica" della fruizione dell'arte. # Volume XIX Issue VI Version I # ( H ) definizione albertiana della pittura come finestra sul mondo 28 . Togliere la cornice è qui togliere tutta quella storia, non isolare più l'oggetto opera, evidenziare il contesto 'per via di levare' invece che di aggiungere. Allora lo sguardo non è più quello che guarda un'immagine che sa essere d'arte perché incorniciata o un oggetto perché posto su un piedistallo o altro dispositivo, ma quello che nota una possibile incongruenza, una sfasatura minima, una situazione limite, una coappartenenza. Anche certa musica detta minimalista in alcuni casi mira a una presenza così minima da essere stata chiamata 'environmental' o 'ambient' proprio perché tende quasi a sparire, o meglio a mescolarsi, secondo il dettato del Silenzio (1952) di John Cage, ad amalgamarsi, mimetizzarsi, con i suoni già presenti nell'ambiente. Sorta di versione sonora dell'invisibilità, di inudibilità, l'amalgama crea qualcosa di terzo, di diverso, dovuto all'inseparabilità dei due, una dimensione ulteriore, una 'possibilità'. Forse l'esempio più consapevolmente radicale che integra insieme i due aspetti di intervento ambientale e intervento sonoro è l'operazione di Max Neuhaus in Times Square, del 1977 (Fig. 10). L'opera è talmente integrata nella piazza da risultare praticamente invisibile, presentandosi di fatto solo come una griglia di quelle che si trovano normalmente nei percorsi pedonali a copertura di interventi situati sotto il livello del suolo. Così è anche per l'installazione di Neuhaus, che comporta degli altoparlanti posizionati nella cavità sotto la griglia. Si trova in piena piazza, come parte integrante dell'arredo urbano, senza nessun genere di segnalazione né di cartello indicatore. I suoni che escono dagli altoparlanti, dal suolo, si mescolano completamente con i suoni dell'ambiente, certamente non silenzioso e anzi perlopiù tanto rumoroso da rendere quei suoni spesso indistinguibili. Essi sono comunque mescolati agli altri e mai separabili da essi, costituendone un insieme unico e sempre cangiante. Giustamente è stato detto che più che di una composizione musicale si può parlare qui di una "scultura sonora": "La sonorità che l'artista ha prodotto non è dunque propriamente l'opera. Essa è, invece, una sottile tessitura uditiva disposta al centro di un teatro visuale quanto mai intrusivo, addirittura aggressivo, tessitura che risulta dall'intreccio di un insieme di frequenze sonore, molte delle quali sono ready-made e sfuggono al controllo dell'artista. Per contro, la forma stessa che prende la diffusione dell'opera nello spazio è estremamente disegnata e costruita, strutturata, tanto che si può parlare di una vera e propria scultura sonora" 29 Nel 1985 anche Andy Warhol propone una Scultura invisibile (Fig. 11). Lo fa in un'occasione defilata, non ufficiale, ma a suo modo pop perché in un club, l'Area di New York, presentandosi per qualche minuto accanto a un cartello su cui era scritta la didascalia "Andy Warhol, Usa / Invisible Sculpture / Mixed media 1985" per poi andarsene: era invisibile quando c'era o dopo, è la domanda. E non appaia così scontata o pretestuosa perché in realtà c'è tutta una strategia di invisibilità che percorre l'opera e il comportamento di Warhol fin dall'inizio, che egli svela, o modula, proprio a partire da quegli anni attraverso la sua peculiare versione del mimetismo. Sono infatti dell'anno dopo, 1986, i suoi Camouflage, tele coperte dal pattern del telo mimetico militare, lo stesso di Boetti, ma con variazioni dei colori che lo adattano a ogni contesto. Da quel momento Warhol userà spesso lo sfondo di camouflage su cui sovrapporre le immagini scelte, in particolare il ritratto di Joseph Beuys, il proprio autoritratto e L'ultima cena vinciana, in una sequenza già in sé alquanto significativa di personaggi 'invisibili'. Che siano l'opposto dei divi dello spettacolo con cui ha cominciato e dei vanitosi uomini famosi che si fanno fare il ritratto su commissione dagli anni '70? In chiave mimetica si può in effetti rileggere quasi tutta l'opera di Warhol, soprattutto a partire da quel 1963-64 in cui sembra aver preso decisioni radicali: dai film che registrano in inquadrature fisse volti o oggetti immobili alle simulazioni di scatole di prodotti vari, e poi avanti: i quadri dei fiori che coprono interamente le pareti, quindi le carte da parati su cui sono disposti i quadri con lo stesso soggetto, e poi i temi del travestitismo, del maquillage, per non parlare del doppio, della ripetizione, ecc. Nel 1984 realizza una serie di tele che riportano le tavole di Rorschach, ovvero macchie in cui ognuno individua delle immagini che in realtà sono le proiezioni delle proprie fantasie immaginarie. Il mimetismo ruota intorno a questi meccanismi della visione: il farsi macchia, il farsi superficie, secondo una delle più famose dichiarazioni di Warhol. . Niente di solido, niente di visibile, ma una sorta di densità, non fosse che uditiva, se non concreta, di vibrazioni dell'aria, solo nella zona della griglia e non al di fuori di essa. C'è una versione assurda, grottesca, che mostra con ironia un po' sbarazzina, con quel rimando probabile alle barzellette, ma radicale nel suo mettere in causa la credulità che vi è in gioco, tutta la paradossalità che in realtà sottende la nozione di invisibile. È quella di Maurizio Cattelan, che nel 1991 denunciò ai carabinieri il furto dall'auto della fidanzata di una sua scultura invisibile destinata a un'esposizione, per poi esporre il verbale della denuncia regolarmente steso senza alcuna obiezione all'impossibilità di quanto dichiarato (Untitled (Denuncia), 1991) (Fig. 12). Esporre l'invisibile è impossibile; oppure esporre non significa necessariamente mostrare, bensì affermare, dichiarare, enunciare, 'denunciare' appunto. In realtà, a leggere il verbale, la parola "INVISIBILE" è riportata tra virgolette, e tutto maiuscolo, potendo così essere considerata il titolo dell'opera: allora esporre l'"INVISIBILE" diventa un'altra (im)possibilità. Ma qui inoltre l'invisibile ha anche a che fare con il furto -tema che ricorrerà anche nell'opera posteriore di Cattelan -, ovvero il furto della visibilità. L'anno prima Cattelan aveva dato un'altra versione della galleria vuota, chiudendola ed esponendo un foglio -un altro foglio sostitutivo dell'opera -con scritto "Torno subito". Dov'è l'artista? Dov'è l'opera? Dov'è l'arte? Sottratta più che assente: c'è e non c'è, c'è ma non è quella che ci si aspetta, è altra. Concludiamo con due varianti del tutto singolari per rarità e per concezione in entrambi i casi. Il primo: alla Biennale di Venezia del 2013 Luca Vitone presenta un'opera intitolata Per l'eternità (Fig. 13). Si tratta di un profumo diffuso nella stanza. Altri artisti hanno usato odori e profumi, ma sempre emananti da oggetti o sostanze presenti e visibili; quella di Vitone è invece la versione radicale, del tutto invisibile. Per lui l'invisibilità è lo sviluppo dei suoi monocromi -realizzati con la polvere dei luoghi, di cui l'eternit è una variante per le sue 'polveri sottili' -, con spostamento dal visivo all'olfattivo. Spostamento decisivo, che si inserisce di nuovo in quel filone di critica dell''otticità' di cui si è già detto e che qui è solo l'aspetto centrale di una riflessione ulteriore sul Modernismo. L'eternit, il cui nome rimanda a un'ambizione di eternità ripreso nel titolo dell'opera, è infatti qui il simbolo della "parabola modernista del '900" 30 : inventato infatti come materiale risolutivo dal punto di vista funzionale ed economico, si rivela poi un veleno letale e diffuso. Il profumo di Vitone invade la stanza, la quale appare di nuovo vuota ma è al contrario del tutto piena, "un pieno assoluto" 31 , insiste l'artista, tanto da chiamare Per l'eternità una "scultura olfattiva", "un oggetto che vuole essere enorme, gigantesco, che possa travalicare i confini della stanza, ma invisibile" 32 L'ultima variante infine consiste nell'invenzione di situazioni reali ma di fatto non direttamente esperibili. Si tratta dell'opera del croato Tomo Savic-Gecan, artista radicale che, come Tino Sehgal, non ammette riproduzioni delle sue opere, che nei cataloghi sono sostituite da brevi frasi secche e descrittive, stampate sempre con lo stesso carattere. È che nel suo caso le sue opere, tutte intitolate Senza titolo seguito dall'anno, sono di fatto e programmaticamente irriproducibili. Per esempio: i visitatori che entrano in una mostra a Utrecht mettono in movimento senza saperlo una scala mobile situata in un centro commerciale a Zagabria (Senza titolo, 2001); "Per tutta la durata della 51a Biennale di Venezia, l'entrata di ogni visitatore nel centro d'arte contemporanea W139, ad Amsterdam (Paesi Bassi), modifica di 1°C la temperatura dell'acqua dello Spordiklubi Reval-Sport, a Tallinn (Estonia)" (Senza titolo, 2005); "La vetrata della galleria è stata trasformata in vetri" (Senza titolo, 2005); "Il valore di quest'opera è l'opera; questo valore si trova in un costante stato di svalutazione a partire dall'apertura fino alla chiusura della mostra, momento in cui non varrà più niente" (Senza titolo, 2007); due spazi cubici bianchi identici e vuoti vengono allestiti uno a Parigi e uno a Bergen, in Norvegia, ognuno restringentesi impercettibilmente di mano in mano che entrano spettatori nell'altro spazio (Senza titolo, 2010). Luoghi differenti, cambiamenti impercettibili, trasformazioni, nessun oggetto prodotto o presente, il lavoro è composto su eventi reali ma non documentabili visivamente e non verificabili da parte dello spettatore che trova soltanto un foglio con scritte come quelle citate. La critica del primato del visivo, la messa in discussione delle categorie formali esteticheoggettualità, presenza istantanea, immutabilità, autonomia, valore -così come delle convenzioni espositive e di ogni assunto del 'sistema dell'arte', fin nei suoi aspetti mercantili, "senza tuttavia ripiegare completamente sulle 'idee pure' dell'arte concettuale" . Un oggetto inafferrabile, travalicante le dimensioni, che allude dunque ad ulteriori dimensioni, così come l'ulteriore particolarità di questo odore: l'eternit infatti non ne ha propriamente uno, è inodore, quindi quello di Per l'eternità è 'inventato', non nel senso di arbitrario ma appunto in quello di rimando ad altro, carattere intrinseco di una certa idea di invisibilità. 33 Qualcosa avviene realmente e attira l'attenzione sulla letteralità delle condizioni del suo accadere, appunto lo spazio, il tempo, il luogo espositivo, l'esposizione, la condizione dell'artista, quella dello spettatore, quella dell'opera, del mercato, del contesto; ma è , sono solo gli aspetti critici della sua opera. Savic-Gecan non espone il vuoto, né rimanda a un concetto, non privilegia il linguaggio verbale invece di quello visivo, non mira a riduzioni né sottrazioni, in realtà ha individuato dei fenomeni, delle modalità, degli eventi del tutto reali anche se non visibili o a cui non si può assistere seguendo le condizioni prescritte dall'opera. Questi fenomeni-modalità-eventi anzi seguono delle regole e descrivono un'estetica e dei contenuti come qualsiasi altra opera, ma in modo finissimo e ancora una volta reinventandoli. Il lavoro sul tempo e sullo spazio, sulle materie e le loro trasformazioni o cambiamenti non solo rende 'visibile' in modo non visivo ma differente, immaginativo-mentale e anche effettivamente differito, ma agisce non a caso sugli stessi motivi che ricorrono in molti degli artisti e delle opere qui trattati. In particolare il doppio, a diversi livellidegli spazi, dei pubblici, dei tempi, dei materiali, dei dispositivi, dei modi -, cosicché ciò che accade da una parte o all'uno non è accessibile all'altro eppure lo trasforma o ne viene trasformato. Questo inoltre in modo più fisico e letterale di quanto si sarebbe portati a pensare, perché realmente e fisicamente collegati. letterale anche nel senso che si riduce alla propria presentazione, senza rappresentazione, senza immagine, senza illustrazione, senza figura. Questa presentazione tuttavia, per la sua invisibilità, mette nella condizione di pensare a un altro spazio, un altro tempo, un altro luogo, un'altra materia, un'altra forma. Scrive giustamente Elena Filipovic: "Cosa accade se un'esposizione comincia e finisce senza che il contributo di un artista che vi partecipa [...] possa essere vista, sentita o verificata in un qualche modo? Cosa accade se non si rivela come oggetto estetico se non in un altro tempo e un altro luogo, e che tuttavia la sua 'partecipazione' a un'esposizione (e la partecipazione del visitatore) in un determinato momento è essenziale alla sua 'esistenza'?" 34 . Appunto si fa esperienza dello sdoppiamento, del ritardo, della differenza, per quanto sottilissima, necessari per un'esperienza estetica. Lo spettatore stesso si sdoppia: non fa mai esperienza direttamente di ciò che viene dichiarato e che accade, ma sempre attraverso un altro a cui viene collegato dall'operazione artistica. Forse si potrebbe dire che l'invisibile consiste proprio in questo mettere in rapporto, in questo collegare, mostrare il collegamento, il far parte di una stessa realtà, altra, impalpabile, differente, che viene rivelata solo in questo modo. 1![Fig. 1: Copertina del n. 11 della rivista "La révolution surréaliste", marzo 1928.](image-2.png "Fig. 1 :") 2![Fig. 2: Salvador Dalì, L'uomo invisibile, 1929. Museo Nacional de Arte Reina Sofia, Madrid.](image-3.png "Fig. 2 :") 3![Fig. 3: René Magritte, Il paesaggio di Bauci, 1966. The Menil Collection, Houston.](image-4.png "Fig. 3 :") 4![Fig. 4: Robert Barry, Gas inerte elio deserto del Mojave, 1969.](image-5.png "Fig. 4 :") 56![Fig. 5: Douglas Huebler, Duration Piece #31 Boston, 1974.](image-6.png "Fig. 5 :Fig. 6 :") 7![Fig. 7: Alighiero Boetti, Lampada annuale, 1966.](image-7.png "Fig. 7 :") 8![Fig. 8: Michael Asher, Pomona College, Claremont, 1970.](image-8.png "Fig. 8 :") 9![Fig. 9: Robert Irwin, Varese Scrim, 1973. Villa Panza, Varese.](image-9.png "Fig. 9 :") 1011![Fig. 10: Max Neuhaus, Times Square, 1977.](image-10.png "Fig. 10 :Fig. 11 :") 12![Fig. 12: Maurizio Cattelan, Senza titolo (Denuncia), 1991.](image-11.png "Fig. 12 :") 13![Fig. 13: Luca Vitone, Per l'eternità, 2013. Collezione Eric Guichard, Londra. Foto Roberto Marossi.](image-12.png "Fig. 13 :") , ma Barry aveva già lavorato prima con materiali trasparenti (Outdoor nylon monofilament installation, 1968), con onde radio e ultrasuoni (varie opere, 1968), con radiazioni (Radiation Piece, 1968). Ora, i problemi sono molti quando si osa tanto, quando si porta l'arte ai limiti. Uno è che con questi materiali Year 2019 © 2019 Global Journals Invisible , ma per De Dominicis si tratta di un'altra invisibilità, ancora più radicale e mentale, almeno nel senso che è tutta basata sul ragionamento che le supporta. Per De Dominicis infatti "le cose non esistono. [...] Per esistere veramente © 2019 Global Journals Invisible * HGWells trad. it. Milano, Mursia 27 1998 * La fabbrica del mostro nell'arte moderna, trad. it. Monza JeanClair Hybris 2015 Johan & Levi * AndréBreton trad. it. in Id., Manifesti del Surrealismo Torino, Einaudi 1924. 2003 30 Manifesto del Surrealismo * La confessione creatrice, trad. it PaulKlee Id., La confessiome creatrice e altri scritti 2004 Milano, Abscondita * AndréBreton L'amourFou trad. it. Torino, Einaudi 31 1934 * L'incantesimo perpetuo RogerGilbert-Lecomte 2005 163 Milano, Adelphi trad. it. in Le Grand Jeu * Vedi Il Mio Infrasottile PostmediaMilano Books 2018 * HGWells 63 * Ivi 75 * Six Years: The dematerialization of the art object LucyIl Riferimento È A Lippard 1973 New York, Praeger * Vedi Frédéric Paul, I always do what I say I'm going to do. Robert Barry, point par point, in "Les Cahiers du Musée national d'art moderne Returned Barry 2011-2012 118 27 * Arts Magazine 1969 Robert Barry in Arthur Rose, Quatre entretiens * Noi pensiamo anche qui a Duchamp, o meglio a Robert Desnos che si diceva in collegamento telepatico con Rrose Sélavy che gli trasmetteva i suoi famosi giochi di parole (1922); poi a Telepathic Music, una composizione musicale di Davide Mosconi del 1962; a varie versioni di Robert Filliou di Musique télépathique, dal 1976 -e si noterà che si è passati alla 'musica Molto sicuramente tramite Cage * infine forse alla telepatia alludeva Douglas Gordon con la sua Istruzione, nel 1994, in cui durante la sua personale alla galleria Bonomo di Roma, ogni giorno rispondeva a chi chiamasse in galleria Io so a cosa stai pensando * Rimando ancora al mio Infrasottile, cit., in cui molte di queste questioni, autori e opere sono trattati dal punto di vista della nozione duchampiana del titolo * Ian Wilson in Conceptual Art and Conceptual Aspects, catalogo della mostra al New York Cultural Center 1970 33 * Chronique de l'Art Vivant IrmelineLebeer DouglasHuebler 1973. 1997 Marsiglia, Jacqueline Chambon Le monde en jeu. ora in L'art? C'est une meilleure idée! Entretiens 1972-1984 * Jean-FrançoisSulla Intersezione Dei Piani Vedi Lyotard Les TRANSformateurs DUchamp 1977 * GinoDe Dominicis Lettera sull'immortalità -Roma RomaDi Milano, Electa 10-9-1970. 2010 87 Gino De Dominicis. L'Immortale * GinoDe Dominicis Lettera sull'immortalità -Roma OlivaAchille Bonito 10-4-1970 90 Gino De Dominicis. L'Immortale * Così nel 1979 De Dominicis esporrà alla galleria Pieroni di Roma diverse versioni della Persona invisibile, sia in piedi che distesa, costituite ogni volta da un cappello e da calzature, legando il tema dell'invisibilità a quello dell'immortalità * Giovanni Anselmo citato in Beatrice Merz (a cura di), Giovanni Anselmo 1989 Modena, Hopefulmonster * Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, trad. it. Torino, Einaudi Vedi Jacques Lacan 1979 * Arte della copia e misteri della riproduzione Giovan BattistaSalerno in ivi, s.n.p * Les Cahiers du Musée national d'art moderne BirgitPelzer AnneRorimer MichaelAsher 1992. 2013 Kunsthalle Bern 125 111 * Naturalmente è inevitabile il rimando all'esposizione della galleria svuotata intitolata Il Vuoto di Yves Klein del 1958 * MichaelAsher Arte concettuale PeterOsborne Londra, Phaidon 1973-1983 on Works 1969-1979. 2006 175 * Inside the White Cube O'Vedi Brian Doherty trad. it. Monza, Johan & Levi 2012 * Thierry Davila ricorda tre finestre ciascuna a suo modo invisibile, in particolare poiché «mettono la percezione alla prova dei suoi limiti»: la prima è Window Wash di Gordon Matta-Clark, del 1973, una finestra, come dice il titolo, lavata senza che niente la indichi come opera d'artista; la seconda è Placing Pillows di Francis Alÿs, del 1990, un altro intervento non segnalato, consistente nell'inserire dei cuscini nei riquadri vuoti, cioè senza vetro, di alcune finestre sparse per Città del Messico; la terza è Home Run di Gabriel Orozco, del 1993, quando l'artista chiese agli abitanti degli appartamenti con affaccio sul Museum of Modern Art di New York di esporre un'arancia sul davanzale esterno delle loro finestre. «Il lavoro dell'arte», conclude * votato a mettere i sensi -termine che va qui inteso al tempo stesso come sensazione e come significato -al lavoro, a condurli a fare della percezione un atto di riconoscimento e di delimitazione dei fenomeni del mondo tanto più alterante in quanto suppone un vero e proprio divenire del senziente secondo la finezza, la quasi sparizione o la quasi assenza del sentito «Davila Mai 2010 Thierry Davila Parigi De l'inframince. Brève histoire de l'imperceptible de Marcel Duchamp à nos jours. Éditions du regard * Art Press 2 ThierryDavila MaxNeuhaus TimeSquare 2007 43 * Abitare Web Intervista A Luca Vitone 3 giugno 2013 * Conversazione con Luca Vitone, in "atpdiary.com VergaFrancesca 2014 * L'assolutezza qui in Vitone è legata al suo lavoro sui "luoghi" ancor più che sullo spazio, ovvero qui il riempimento della stanza è il corrispettivo delle sue piantine in scala 1:1, delle sue "cartine atopiche" e altro, tanto che egli, nell'intervista citata su "Abitare Web", afferma di aver con il profumo anche trasportato un luogo, Casale Monferrato, maggiore produttore di eternit e sua maggiore vittima in un altro luogo. quello espositivo * Ibidem * Les choses sont ce que nous rencontrons, les idées ce que nous projectons ElenaFilipovic Tomo Savic-Geca Parigi, Jeu de Paume Untitled 2010. 2010 19 * Ivi 21